Apr 11 2009

L’avvenire della Calabria

Pubblicato da at 10:39 Categorie Editoriali

Calabria Autonomie  2/09

di Aurelio Misiti
La lettura dell’interessante editoriale di Sandro Principe intitolato: “l’Istituto regionale e la Calabria: occorrono cambiamenti radicali”, ci ha stimolato a riflettere sulle cause “dell’arretratezza” e dei ritardi che nella mia regione si vedono a occhio nudo e sul da fare affinché le cause individuate possano essere superate al più presto.
E’ nostra convinzione che lo statuto regionale attuale sia un testo moderno e in linea con gli altri statuti regionali; può essere migliorato ma non stravolto e comunque il suo miglioramento non è l’elemento decisivo perché la Calabria possa fare quel salto di qualità e quantità per raggiungere gli standard medi nazionali. Fondamentale è invece il livello della classe dirigente, che quasi sempre dovrebbe rappresentare il meglio della popolazione diretta.
Le domande da porci sono numerose; ne esplicitiamo alcune tentando di dare delle risposte.
L’attuale classe politica svolge il suo compito e la sua funzione in modo esaustivo? E i governi a tutti i livelli cosa fanno? I rappresentanti nel parlamento europeo e nel parlamento nazionale danno il contributo di idee e di proposte che promettono durante le campagne elettorali?  I deputati europei presi singolarmente non hanno un ruolo rilevante per il progresso atteso nella nostra regione; nel migliore dei casi possono essere ambasciatori presso la commissione e sostenere le nostre ragioni. Il parlamento europeo d’altra parte non ha ancora il ruolo  dei parlamenti nazionali e quindi non si può pretendere un rilevante contributo, I parlamentari italiani calabresi, salvo qualche eccezione, hanno seguìto e seguiranno una politica della ricerca del consenso individuale attraverso la clientela, i favoritismi, le raccomandazioni, che tra l’altro oggi non danno più risultati. Se le delegazioni calabresi alla camera e al senato agissero unite sulle principali questioni regionali si potrebbe sperare in un rilevante contributo per un migliore futuro. Fin’ora non c’è alcuna consapevolezza di ciò e quindi ognuno segue il suo gruppo dove in generale predominano interessi e opinioni antimeridionali. Una spiegazione di questo sta anche nella legge elettorale senza preferenze che fa dei parlamentari non degli eletti ma dei nominati dalle segreterie dei partiti.
Il governo è stato poco rappresentato da personalità calabresi e quando lo è stato risultati positivi ve ne sono stati pochi.  Di sicuro non hanno modificato lo schema clientelare e assistenziale seguito ormai dall’unità d’Italia ai giorni nostri.
La classe dirigente industriale ha qualche ruolo importante nella storia della regione?
In Calabria dall’unità d’Italia in poi non si è affermata una vera e propria classe dirigente industriale. I tentativi fatti sono dovuti a immissioni dall’esterno attraverso formazioni industriali trasferite dal Nord per motivi vari e concentrate in alcune zone per la presenza di porti attrezzati come Crotone e Vibo Valentia oppure per decentrare stabilimenti più inquinanti. Così i salariati agricoli si sono facilmente riciclati in operai dell’industria senza difesa di un sindacato sensibile e storicamente battagliero nella difesa delle condizioni di vita e di lavoro.
Non si è sviluppata la piccola e media industria anche per  la mancanza di storia, tradizioni e cultura imprenditoriale dei lavoratori agricoli. Lasciare il campo agricolo per passare  alla piccola industria o all’artigianato  per il figlio di un “mezzadro” veneto è stato molto più congeniale rispetto al figlio di un salariato agricolo calabrese. Quest’ultimo per lavorare attendeva il miracolo dell’arrivo di una grande azienda del Nord; il collega del Nord si industriava e metteva su un laboratorio, una piccola intrapresa e si inseriva in una filiera industriale che spesso terminava nella vicina e più sviluppata Germania. Il sindacato e i partiti di sinistra non hanno compreso il fenomeno e si sono opposti a qualunque cambiamento del mercato del lavoro, che consentisse l’attrazione di capitali del Nord per fare impresa.
E’ stato eretto un muro contro qualunque tipo di contratto sindacale diversificato tra Nord e Sud, respingendo il tentativo con una  lotta ideologica storicamente spiegabile contro le cosiddette “gabbie”, che hanno spinto gli imprenditori verso altri paesi come la Romania e prima ancora verso l’America latina. Nel momento in cui l’agricoltura veniva abbandonata dai giovani e contemporaneamente non si realizzava l’industrializzazione in loco, si affermava l’industrializzazione dei calabresi in Piemonte, Lombardia, Emilia ecc. I residenti perdevano braccia ma anche menti e quindi la Calabria si impoveriva di classe dirigente che avrebbe potuto combattere con successo anche la battaglia dello sviluppo e del progresso. I calabresi si sono affermati quasi come una “classe”, specialmente nel resto dell’Italia. In Calabria ha preso il sopravvento l’attesa che lo Stato provvedesse a risolvere i problemi locali di ogni genere. Oggi tutti pronunciano anatemi contro l’assistenzialismo ma tutti ancora lo  praticano, perché è nel loro DNA.
Appena finiscono un discorso di questo tipo ti presentano  una richiesta di raccomandazione che va dal posto di lavoro al finanziamento di qualche festa di paese. Le amministrazioni locali spesso trascurano i servizi essenziali, i cittadini si distaccano dalla politica o se partecipano la vedono non come lavoro gratuito per la comunità ma come trampolino per ottenere un posto di lavoro.
In un quadro di questo genere è essenziale formare una nuova generazione di amministratori, finanziando l’istruzione e la ricerca, in modo che i cittadini e i politici si assumano le proprie responsabilità, riuscendo a “far da sé” come suggerisce Principe. Ma questo è proprio lo scopo di un sano federalismo, che va visto nel suo complesso e non solo fiscale. La legge in corso di approvazione in Parlamento non è più la legge della Lega; ma è stata profondamente modificata. Essa va approvata per avviare il processo del “far da sé”, responsabilizzando i calabresi a tutti i livelli. Ma federalismo significa anche riconoscimento dei  beni meridionali. Facciamo qualche esempio: la Calabria produce circa il 20% del gas nazionale, che regala ai privati e alle altre regioni da cui compra, a caro prezzo alcuni servizi sanitari.
A Gioia Tauro arrivano tre milioni di container all’anno e viene consentito senza protestare che i servizi doganali si svolgano a Milano o La Spezia. Il Nord produce una grande quantità di gas nocivi e solo, grazie alle foreste del sud e della Calabria, può continuare a produrre ricchezza senza pagare un dazio pesante all’Europa. Abbiamo la regione più ricca di acqua, che, opportunamente gestita, può servire tutto il Mezzogiorno. Senza il Sud il Nord sarebbe povero soprattutto di risorse umane ma anche finanziarie, che si spostano per legge o spontaneamente dal Sud verso il Nord.
Se saranno riconosciute queste ricchezze il federalismo ben venga, lo vogliamo anche noi.
Sul localismo invece è difficile incidere perché ha origini remote. La Magna Grecia, come la Grecia, era caratterizzata da lotte continue tra le città e pertanto gli odii atavici si sono attenuati ma non spenti del tutto dopo oltre duemila anni. Ma la macchia indelebile da eliminare  è il grande club della ‘ndrangheta, che va distrutto definitivamente senza mezzi termini. Federalismo anche qui: investiamo i nostri fondi europei prima di tutto per rafforzare le forze di polizia e della magistratura. Infine, si ritengono accettabili le cinque modifiche di statuto suggerite da Principe per affermare con più chiarezza il dettato costituzionale sulla missione legislativa e programmatoria dell’istituto regionale. Va però indicata con chiarezza la via della ripresa economica e sociale. Essa si fonda sul superamento delle emergenze che, oltre alla ‘ndrangheta, sono la sanità e l’occupazione. I precursori del successo in questi due campi sono oggi, in periodo  di crisi economica mondiale, due piani, ambedue fondamentali, di grandi investimenti nell’istruzione, nella ricerca scientifica, nelle costruzioni infrastrutturali reali e  nell’edilizia pubblica e privata.

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