Ott 28 2008
“Le infrastrutture possibili: idee e contributi” – Relazione generale dell’On. Prof. Aurelio Misiti
Roma 28 ottobre 2008 ore 9:30 -13:00
Camera dei Deputati
Sala delle Conferenze di Palazzo Marini
Via del Pozzetto n. 158
Discutere di infrastrutture oggi, in piena crisi finanziaria mondiale, potrebbe sembrare fuori tempo e anche inopportuno. Invece noi siamo convinti che proprio la crisi finanziaria e i rischi per l’economia reale impongano una profonda riflessione sull’argomento.
Il tema del nostro seminario esclude che si tratti di un incontro propagandistico e lo qualifica invece come iniziativa tecnica e anche politica per esporre le nostre tesi e per ascoltare interlocutori qualificati e, per quanto possibile, non condizionati da interessi di parte.
Dopo la crisi del 1929 la realizzazione di un grande programma di opere pubbliche è stato il fulcro del “nuovo patto” (new-deal) tra la classe dirigente e il popolo americano, che ha rilanciato gli Stati Uniti di America.
L’Italia e l’Europa oggi più che mai devono essere in grado di costruire un modello che, evitando di trasferire la crisi dalla finanza all’economia reale, riesca a dare fiato a questa con un’ampia immissione di risorse per l’ammodernamento del territorio, che in passato, nelle economie sviluppate, ha sempre svolto una funzione motrice della ripresa economica e sociale.
Gli interventi coordinati nelle banche dei vari paesi nell’immediato vanno pure bene ma nel medio e lungo periodo c’è solo la via di promuovere investimenti finalizzati e riforme strutturali adeguate.
Nel secondo dopoguerra il nostro Paese, seppure assistito dal Piano MARSHALL, ha vissuto un periodo importante di ricostruzione e di rilancio della nostra economia, con l’I.R.I. protagonista nel realizzare il sistema autostradale mentre le Ferrovie dello Stato provvedevano all’adeguamento di quello ferroviario. Seguirono interventi di equilibrio territoriale promossi dalla Cassa per il Mezzogiorno, che, almeno nel settore idrico( reti e dighe) ha svolto un ruolo fondamentale nel tentativo di contenere il distacco dal Nord in dimensioni accettabili socialmente dal Sud. Negli anni ’80, con il superamento delle Partecipazioni statali e la liquidazione dell’ IRI, Enti che si sono impantanati in un sistema clientelare corrotto, culminato in tangentopoli, si è avviato un processo di rinnovamento nel settore degli appalti sfociato nella Legge Merloni e un generoso tentativo ancora in atto di programmare un insieme di opere strategiche puntualmente riportate nel cosiddetto “Piano Nazionale Trasporti”. Tale Piano aveva i limiti di rappresentare le esigenze provenienti dal territorio e in buona misura corrispondeva a una visione di un Paese diviso in due: una parte produttiva dei beni (Centro-Nord) e una parte distributiva (Centro-Sud).
La rete autostradale, quella ferroviaria, i porti, gli aeroporti, nonché la rete di rame per le telecomunicazioni, venivano concentrati nel Centro-Nord, lasciando al Centro-Sud appena una strada di Grande comunicazione (Sa-Rc) e una ferrovia obsoleta per favorire l’emigrazione e trasferire i prodotti del Nord verso il Mezzogiorno del Paese. Fino agli anni ’90 le grandi opere, ma anche le piccole e medie, venivano decise, nonostante i tentativi di programmazione del decennio precedente, caso per caso, assecondando gli interessi politici dei partiti di Governo spesso sostenuti dalle Opposizioni e di quelli determinanti del mondo finanziario e industriale del tempo.
Si avvia, invece, una profonda discussione sulla programmazione per iniziativa di un gruppo di tecnici e intellettuali all’interno del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, che hanno prodotto un elaborato attuativo del Piano Nazionale Trasporti, che fino ad allora era rimasto un documento inapplicato. Tale elaborato in periodo elettorale è stato fornito ai partiti politici e in particolare a Rutelli e Berlusconi, che si affrontavano nelle elezioni politiche del 2001.
Berlusconi ha mostrato una delle figure (vedi allegato) nella trasmissione di Vespa e di quell’elaborato ne ha fatto uno dei punti del suo “Contratto con gli Italiani”. Il prof. Lunardi, che aveva fatto parte del gruppo di lavoro per la sua grande competenza nelle opere in sotterraneo, divenuto Ministro ha sposato questa strategia programmatoria e ha fatto approvare la Legge Obiettivo n. 443 del 21/12/2001, con annessa delibera Cipe del Piano Decennale delle Opere.
Tale legge ha introdotto innovazioni importanti su tre punti:
ha ridotto il potere di veto degli enti locali nella realizzazione delle opere strategiche;
ha inserito nuove opere nel Piano Nazionale Trasporti e cioè per quelle indicate nella delibera Cipe allegata alla stessa legge, in modo automatico;
ha introdotto la figura del Contraente generale, già sperimentato con il TAV, per assicurare la continuità dei cantieri nel caso di ritardo dei finanziamenti pubblici.
Nonostante queste innovazioni, ridimensionate nel tempo dai continui compromessi politici, il Piano infrastrutture, del Governo Berlusconi, non ha registrato il successo sperato.
I motivi di fondo del fallimento del Piano vanno ricercati nella incapacità di quel Centrodestra di utilizzare uno strumento nuovo di tipo europeo rappresentato da un programma decennale.
E’ prevalsa invece la linea di Tremonti, ultraliberista allora, che non prestava molta attenzione all’economia reale mentre cavalcava la teoria della finanza creativa. Il ministro dell’Economia è stato il vero avversario di Lunardi.
A ciò si aggiunge la politica del “non fare” dei Verdi e dell’estrema sinistra, che hanno condotto una dissennata opposizione a qualunque ammodernamento delle infrastrutture del nostro paese. Ne sa qualcosa anche il ministro Di Pietro che già nel 1996 ha dovuto respingere con forza quella politica almeno in due casi:
la variante di valico;
il Mose di Venezia.
A proposito della prima opera il giornalista Maurizio Stefanini nel Maggio 2001 ha scritto: “la variante di valico è sostenuta dal nuovo ministro dei lavori pubblici Antonio Di Pietro, Verdi e Rifondazione comunista attaccano il ministro ‘non eletto’ che si permette di promuovere un’opera non prevista dal programma dell’Ulivo. Prodi, personalmente favorevole, impone il compromesso del 25 luglio 1996, intorno a una mini-variante di soli 17 Km., ma Di Pietro insiste nel considerarla solo un primo lotto funzionale immediatamente appaltabile. Di Pietro si dimette dopo un ulteriore duro scontro con i Verdi e la richiesta di Ripa di Meana a Prodi di intervenire contro di lui”.
In definitiva nei cinque anni di governo del Centrodestra (2001-2006) non si è andati al di là di una impostazione programmatoria (cosa non trascurabile) e però con scarsi risultati pratici.
Il ministro Di Pietro, tornato a Porta Pia, sostenitore della politica del fare, partendo dal programma del suo predecessore, in soli due anni, con il coinvolgimento continuo delle Regioni e degli Enti locali, è riuscito a terminare molte opere, a finanziare grandi infrastrutture come la SA-RC, il Mose, il Passante di Mestre, alcuni tratti della SS Jonica, grandi nodi urbani stradali e ferroviari, accelerando la preparazione approvativa di numerosissime grandi opere soprattutto in Val Padana e in Centro Italia. Inoltre Egli e il partito Italia dei Valori hanno avuto un ruolo decisivo per non far sciogliere la società Stretto di Messina che avrebbe impedito per molto tempo la costruzione del ponte. Per tale opera noi di Italia dei Valori siamo favorevoli, naturalmente se essa sarà accompagnata dalla infrastrutturazione della Calabria e della Sicilia, con particolare riguardo alla costruzione dell’Alta velocità ferroviaria Napoli-Palermo.
Il sistema ferroviario ha ricevuto da Di Pietro un grande impulso avendo egli procurato importanti finanziamenti per continuare la costruzione del Treno ad Alta Velocità.
Per rendersi conto del cambiamento di marcia introdotto dal Governo Prodi rispetto al precedente periodo 2001-2006, e a quello recente del ministro Matteoli, basta leggere il documento infrastrutture allegato al DPF 2008-12.
Va considerato infatti l’ampliamento di orizzonte verso gli schemi idrici e soprattutto verso le politiche abitative, a cui il Ministro ha dedicato ampio spazio. Va ricordato a tale proposito che il tavolo costituito presso la Presidenza del Consiglio, in base alla legge 8 febbraio 2007 n. 9 recante “interventi per la riduzione del disagio abitativo per particolari categorie deboli”, intende evidenziare la necessità di ridisegnare un nuovo modello di politica abitativa con particolare riferimento alle categorie sociali deboli.
Si tratta della prima occasione, dopo molti anni, di impegno comune che vede le istituzioni centrali, regionali e locali confrontarsi insieme agli operatori del settore e alle organizzazioni sindacali per individuare le risorse e gli strumenti finanziari, fiscali, normativi necessari alle nuove politiche abitative da avviare nel paese e nelle singole regioni. Si è stabilito in quel tavolo la definizione del programma nazionale in materia di edilizia residenziale sociale da considerare come parte essenziale del sistema del welfare.
Il nuovo governo di Centrodestra invece ha assunto provvedimenti che vanno nella direzione opposta della politica del fare. La prima scelta è stata quella di tagliare gli investimenti previsti da Di Pietro per il Ministero di circa 2 miliardi di euro mentre la spesa corrente è stata ridotta di una cifra irrisoria. Anche su questo si può essere edotti con dovizia di particolari leggendo il documento allegato sullo stato di previsione del ministero per l’anno finanziario 2009.
Vorremmo conoscere le opinioni di personalità di rilievo che operano nel settore in merito: all’abbandono pratico del piano casa, ai tagli al Ministero delle Infrastrutture e Trasporti, ai tagli operati sugli investimenti in atto per finanziare l’ICI e anche se possibile al tanto decantato Accordo quadro tra il Ministero e la BEI, anch’esso allegato nella vostra cartella. Il ministro Matteoli ha dichiarato di avere ottenuto 15 miliardi di euro di finanziamenti BEI e si è dimenticato di ricordare che si tratterebbe comunque di un prestito da restituire.
In conclusione noi riteniamo che il drastico ridimensionamento rispetto al governo Prodi degli investimenti sulle infrastrutture, che purtroppo viene anche emulato dalla Commissione europea, che non prevede invece una politica espansionistica del settore, sono effetti della situazione precedente alla crisi dei mutui.
Come invece abbiamo accennato sopra riteniamo che la nuova situazione imponga un profondo riesame di questa politica, che porti gli europei, come gli americani negli anni Trenta, a promuovere un grande piano di investimenti nelle opere pubbliche come motore essenziale per superare lo stato di crisi, che da finanziaria si potrebbe trasformare in economica, colpendo l’economia reale, con effetti devastanti sulle condizioni di vita degli italiani e degli altri popoli europei.
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