Apr 26 2010
Osservatorio del 26 aprile 2010
SE IL SUD FOSSE FEDERALISTA
L’assessore e professore Mario Caligiuri ha scritto un buon articolo sul Quotidiano Nazionale intitolato “Se il Sud fosse federalista” a commento del libro, su cui ritorneremo, di Falasca e Lottieri “Come il federalismo fiscale può salvare il Mezzogiorno”.
La tesi degli autori è che il Sud può diventare la “tigre del Mediterraneo” che trainerà l’Italia nelle perigliose sfide della competizione globale. Il neo assessore, già contestatore accanito della casta dei politici, su cui ha scritto numerosi e apprezzati “pezzi” (speriamo oggi proponga leggi), ritiene che il mezzo per raggiungere l’obiettivo è il buon uso che si riuscirà a fare dei cento miliardi di euro dei fondi strutturali entro il 2013. Egli afferma: “i fondi comunitari sono un volano per lo sviluppo, tutto il resto diventa una conseguenza” e conclude “bisogna volere un po’ più di bene all’Italia. Al Sud come al Nord”.
Non si può che concordare con questi sogni da intellettuale. I fatti però, nudi e crudi, sono indicatori del tutto opposti a questo ottimismo della volontà. La situazione oggettiva dell’Italia di oggi non consente tanto.
Infatti i fondi spesi in infrastrutture, in servizi o in altre attività come quelle turistiche o della finanza, dove produrranno reddito? Le imprese di costruzione sono tutte del centro nord, come pure le banche e le aziende turistiche, per non parlare della grande distribuzione. Il plusvalore creato dal lavoro entra nel flusso diretto verso le Alpi e oltre. D’altra parte il Governo non è padano?
Gli alti dirigenti meridionali, se ci sono, non battono nemmeno un colpo. In questi giorni un bolognese di nome Fini ci ha difeso, ma è stato subito isolato in modo indecoroso.
Tornando all’articolo di Caligiuri, possiamo dire che i fondi strutturali sono importanti, ma per la rinascita è più importante la consapevolezza dei meridionali di potercela fare da soli. Anche i fondi europei sono una opportunità, ma non bastano.
SANITA’ CALABRESE, SCOPELLITI IMITI ALEMANNO
Nel Lazio e in Campania la sanità è stata commissariata. Scopelliti lo ha chiesto anche per la Calabria. Abbiamo più volte suggerito, come ProCalabria, di non rinunciare a priori al compito affidato dagli elettori di migliorare la politica della salute. Lo abbiamo detto a Loiero e lo diciamo al nuovo presidente.
Il problema della sanità calabrese non è quantitativo ma qualitativo. Fino ad oggi i trasferimenti pro capite dello Stato alle regioni registrano una differenza in meno di circa duecento euro annuali rispetto alla media nazionale, dovuta all’emigrazione sanitaria dei cittadini calabresi. Per superare questo stato di cose non basta la buona contabilità, ma occorre munirsi di strutture sanitarie pubbliche che operino al più alto livello qualitativo. Se ciò avvenisse i trasferimenti dei fondi alla Calabria sarebbero congrui e porterebbero i conti in attivo. Ma ciò sarà possibile solo se si potrà investire in strutture e servizi; ma non si può perché vige il patto di stabilità.
E allora la richiesta che va fatta al Governo non è il commissariamento ma la sospensione del patto per quanto riguarda gli investimenti nella sanità. Il neopresidente deve resistere alle pressioni delle lobbies locali e chiamare al capezzale della sanità uomini esperti, che hanno mostrato altrove la propria maestria. Senza guardare a simpatie politiche ci sono nomi di illustrissimi professori: Cordiano a Verona, Cognetti all’Istituto Superiore di Sanità, Romeo a Tor Vergata e chissà quanti altri.
Il sindaco di Roma Alemanno, per il piano regolatore, ha mobilitato architetti e ingegneri di colore politico anche opposto al suo, come Fuksas, Piano e Portoghesi. Scopelliti faccia come lui, la Calabria gli sarà riconoscente.
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